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Esami invasivi di diagnosi prenatale
Gli esami invasivi di diagnosi prenatale durante la gravidanza vengono normalmente eseguiti per diagnosticare eventuali malformazioni del feto, anomalie cromosomiche o la presenza di malattie genetiche.
A differenza degli esami obbligatori da eseguire durante la gravidanza, questi esami vengono definiti invasivi perché, oltre che pericolosi per la mamma ed il feto durante la loro esecuzione, comportano un rischio di aborto fino al 2% dei casi e, a volte, aumentano l'insorgenza di alcune patologie. Per questo motivo è caldamente consigliato effettuarli solo se strettamente necessario o nel caso in cui si siano riscontrate delle anormalità durante i test di routine (translucenza nucale, esami sierologici, analisi dell'alfafetoproteina).
Gli esami invasivi più affidabili e praticati sono:
- L'amniocentesi.
- La villocentesi.
- La cordocentesi.
Esistono poi anche alcuni esami particolari, meno utilizzati, ma che consentono comunque di analizzare il feto e rintracciare malformazioni o anomalie. Tra questi:
- La fetoscopia. Tecnica diagnostica che consiste nell'introduzione guidata, all'interno della cavità amniotica, di uno stumento a fibbre ottiche tramite cui è possibile visualizzare il feto, prelevare sangue fetale puro dall'inserzione placentare dei vasi ombelicali e fare una biopsia cutanea. Questa manovra è associata a un rischio elevato di perdita del feto nell'ordine del 5-6%.
- L'amnifiltrazione. Questo esame consente di aspirare del liquido amniotico che, dopo il prelievo, viene immediatamente reinserito nella cavità amniotica. Ilvantaggio principale di questa manovra risiede nella precocità della diagnosi ottenibile mediamente in 14 giorni dalla 10ª settimana di gravidanza, con un rischio d'aborto dell'1.7%.
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